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Costanza Ghezzi: scrittrice ed editor, ci racconta il suo mondo


Protagonista di questa nuova intervista è Costanza Ghezzi, scrittrice, editor freelance e titolare dell'agenzia di servizi editoriali Thàlia, che ci porterà, questa volta, non solo il punto di vista di una lettrice appassionata, ma soprattutto di un’addetta ai lavori, quelli che ci sono dietro alla realizzazione di un libro affinché sia pronto alla distribuzione.

Un sentito grazie a Costanza che ha gentilmente accettato di concederci questa preziosa intervista.


Ciao Costanza, cominciamo parlando di te. Ti andrebbe di presentarti, descrivendoti con tre aggettivi?

Ciao, vi ringrazio per avermi invitata. Tre aggettivi… generosa, testarda, fantasiosa.


Dicci di più sulla tua professione di editor freelance: com’è nata in te l’idea di imboccare questa strada e quale è stato il percorso professionale che hai intrapreso?

È stata una professione che ho cullato sempre dentro di me; potrei dire che è nata con me. Da bambina già mi divertivo a cancellare parole sui libri sostituendole con altre, magari inventate. Poi la vita mi ha portato in altre direzioni, per un bel po’ di anni. Stavo solo rimandando. Quando è stato possibile ho iniziato a seguire corsi di formazione (il primo con Francesca Pacini), fino a un master di editoria abbastanza complesso, che mi ha fatto capire che era davvero quella la mia professione. Ho poi seguito e seguo corsi di scrittura, perché ritengo che sia importante anche capire i meccanismi che sono alla base del processo creativo. Per il nostro lavoro la formazione è sempre in itinere; quando posso partecipo a seminari e corsi di formazione perché la parola e la scrittura sono materiale fluido, cambiano con la cultura, la storia e le narrazioni sono sempre diverse. Per questo posso definire il mio percorso un viaggio in continuo movimento.



Riesci, con un lavoro come il tuo, a ritagliarti del tempo da dedicare alle letture di piacere?

Leggere fa parte del mio lavoro, è imprescindibile. Le letture piacevoli sono molto importanti, perché ti motivano, ti danno la spinta che serve e l’ispirazione necessaria per poter lavorare al meglio. Purtroppo, il tempo non basta mai. Leggere vuol dire fare delle scelte su come impiegare il tempo, rinunciare magari a un film o a un’uscita serale. In realtà per me non sono vere rinunce, in quanto leggere è la cosa che amo di più al mondo. Non me ne vogliano il figlio e le figlie.


A proposito, ci piacerebbe conoscere alcuni dei tuoi titoli preferiti.

Domanda davvero molto molto complessa. Allora… Pippi Calzelunghe, la prima femminista che ho incontrato nella vita, Opinioni di un clown di Heinrich Böll, scrittore che ho amato molto nell’adolescenza, e questo libro in particolare l’ho riletto varie volte, in momenti diversi della vita, I racconti di Raymond Carver tutti, La versione di Barney, di Mordecai Riclei, La donna che scriveva racconti, di Lucia Berlin, Il Signore degli anelli di Tolkien, oddio… citandone solo alcuni mi sembra di fare un torto a tutti gli scrittori e le scrittrici che ho amato, ma non posso continuare all’infinito, vero?!


Secondo la tua esperienza, esiste una connessione forte tra l’amore per la lettura e l’essere un buon editor?

È una connessione non solo forte, ma obbligatoria, vitale, inderogabile. E bisogna, secondo me, essere lettori onnivori, non disdegnare alcun genere, perché non sai mai su quale testo dovrai lavorare, almeno nell’ambiente dei freelance. Poi certamente ci sono generi nei quali mi muovo meglio rispetto ad altri, ma un minimo di conoscenza dei generi mainstream è necessaria. Altra cosa importante è dare spazio anche alla narrativa contemporanea e sperimentale, le ultime uscite, i premi.



Hai notato dei cambiamenti nell’attività di editor da quando hai iniziato sino a oggi?

Oggi rispetto anche a soli sei, sette anni fa, sono molte più le persone che scrivono. Si è passati da una cultura che vedeva la scrittura come ambito riservato a pochi eletti, a una cultura che ritiene che il pubblicare sia accessibile a tutti. Sicuramente l’uso di internet, i social, la messaggistica, sono stati importanti per veicolare il messaggio che scrivere è possibile e facile. Le cose in realtà non sono proprio così, e in particolare lo sappiamo noi che lavoriamo nell’editoria. A questo aggiungo che molti scrivono senza avere alle spalle un’esperienza abbastanza solida come lettori. La filiera editoriale si è dovuta adattare alle rinnovate richieste, creare lo spazio per questi nuovi scrittori, pubblicando più titoli e facendoli sostare meno nei cataloghi. E sempre di più sono le persone che, in modo secondo me intelligente, volendo pubblicare un testo cui tengono molto (tipo un’esperienza autobiografica) diventano autori self publisher, ovvero una sorta di imprenditori di se stessi. Amazon ha incrementato questa tendenza, così come sono aumentate le case editrici EAP, la stampa on-demand, le offerte di servizi editoriali non affiliate a Case Editrice. Un decennio fa questo mercato era molto più ridotto.


Quali sono per te i requisiti fondamentali per poter svolgere al meglio questo mestiere?

Passione, cura e pazienza.


Editor e autore: quanto è importante instaurare un rapporto equilibrato per riuscire a lavorare al meglio e su cosa deve basarsi secondo te?

Il rapporto con l’autore è per me un rapporto molto intimo. Quando mi approccio a un testo, dopo averlo letto e “inquadrato”, ho bisogno di sentire la voce dell’autore, di fare una lunga chiacchierata con lui o con lei, per conoscerlo meglio, capire più cose possibili, instaurare una relazione. Questo permette di creare un rapporto di fiducia reciproca, senza la quale è per me impossibile lavorare. Ritengo che un editor non debba mai sovrapporre la propria voce o il proprio stile a quello dell’autore, ma debba affiancarlo, stando magari un passo indietro, fare delle proposte, intervenire (a meno che non si tratti di errori macroscopici) sempre dopo aver spiegato e motivato. Nei testi che ritengo validi, non prescindo mai dal fatto che ogni autore ha una propria scrittura, che può essere più o meno consona al mio modo di sentire, ma che deve essere comunque rispettata. Non transigo invece sulla correzione di bozza! Sono inflessibile!



Quali sono gli errori che è più comune trovare nei manoscritti?

Spesso sulla struttura, specialmente quando questa segue uno schema non lineare. Il flash back e il flash forward rischiano di non essere usati con la dovuta competenza, facendo sì che l’intreccio si complichi al punto da mettere in difficoltà il lettore. Un’attenzione particolare deve essere posta sul punto di vista: è facile che si passi da un pdv esterno a uno interno, magari usando sempre la stessa terza persona. Anche le parti dialogiche hanno di frequente bisogno di un lavoro da fare insieme all’autore. Noto spesso difficoltà sull’uso corretto dei tempi verbali, dell’uso abbondante di frasi fatte o stereotipi, di ripetizioni… e poi c’è la parte della grammatica, ortografia, sintassi, che attiene però alla correzione di bozza.


Un consiglio a chi volesse intraprendere il mestiere dell’editor.

Essere sempre molto attenti a quello che succede in ambito editoriale, con un occhio al mercato del libro: quali testi stanno funzionando, perché, quale scrittura, quali temi. E poi amore per la parola e per l’arte di narrare, in ogni sua forma.


Passiamo ora alla tua attività di scrittrice. Cosa rappresenta per te “Il segno di Nora” e quando si è palesato nella tua mente il pensiero di scriverlo?

Il segno di Nora è nato da un racconto breve che tenevo nel cassetto e che la dottoressa Reverberi, l’editrice di BIBI Book – la casa editrice con la quale collaboro – ha apprezzato e mi ha chiesto di sviluppare in un racconto lungo. Il libro affronta il problema della violenza psicologica nella relazione intima, un problema ancora difficile da riconoscere e da denunciare. Nel romanzo ho parlato della mia esperienza personale, cercando di dare voce alle molte donne vittime di questa forma di sopruso che è tanto più grave e pericoloso quando viene agito, come nel caso di Nora, da un uomo con un disturbo narcisistico della personalità. L’ho scritto in fretta, trattenendo il fiato e rileggendolo poche volte, perché ogni lettura mi lasciava molto provata. Spero che possa essere di aiuto non solo alle donne vittime di violenza, ma che possa offrire degli strumenti utili a riconoscere e prevenire la violenza.


Hai altri libri nel cassetto?


Ho scritto un paio di racconti pubblicati su riviste letterarie e un racconto per una raccolta, I Misteri di Maremma, Effigi, e per adesso è proprio alla forma del racconto che mi vorrei dedicare. Il racconto è un genere che amo molto. Il problema è che lavorando tutto il giorno sui testi di altri, è molto difficile trovare il tempo e l’ispirazione per scrivere “cose proprie”. Ma chissà… con una buona idea, perché no!


Per concludere la nostra intervista, ti chiediamo di condividere con noi una citazione che per te ha un significato profondo.

Nulla passa senza lasciar tracce. Ogni nostro più piccolo passo ha significato per la vita presente e quella futura. Di Anton Čecov.

La trovo di una semplicità e profondità disarmante. E in questo momento triste per tutti noi bisognerebbe scriverla a grandi lettere sui muri.




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